Bologna a Mano Armata - Bologna Violenta: Bancarotta Morale


 Bologna Violenta Cover Album Bancarotta MoraleUscito nel peggior periodo possibile e colpito da ritardi di ogni tipo, tra chiusura del pressing plant e spedizioni che non partivano, il nuovo lavoro di "Bologna Violenta" è finalmente tra noi.
Sono passati 15 anni da quel primo CDr  "Bologna Violenta" e molte cose sono cambiate, pur restando sempre le stesse.
"Bancarotta Morale" allora cos'è se non il punto di arrivo (e di ripartenza) di un progetto avanguardistico, già pietra miliare della musica italiana?
Come in una sorta di concept album i nostri raccontano qui 4 storie, drammi grotteschi e bucolici, scandendone i capitoli attraverso le proprie canzoni. I testi non sono presenti e tutto il lavoro di storytelling viene lasciato alle note o, meglio, agli ambienti acustici che queste creano,  liberando sensazioni e accentuando taluni elementi del discorso affrontato. A fronte di ciò diventa allora vero che, se eliminiamo le narrazioni contenute nel booklet o nel fold dell'edizione vinile, si evita l'opera tutta, privata dell'originaria struttura portante. Ecco allora che si comprendono quelle foto in copertina, tanto portatrici di un'estetica passata quanto testimonianze materiali di una realtà difficilmente credibile se semplicemente scritta su qualche libro storico.
Dimenticatevi, a seguito di quanto detto, gli albori del progetto, le su 26 tracce di 26 secondi, scarne, furiose e grezze. Siamo arrivati con questo lavoro alla summa di quanto già presentato in minima parte con "Discordia", evoluto in "Cortina" ed ora presentato in una forma forse non ancora definitiva, ma sicuramente consolidata.
L'introduzione, "Estetica Morale", è un'apertura leggera che espone le chiavi su cui si impernia tutto il lato sonoro dell'album. Violini, bass pedal ed organo armonium creano una melodia che richiama la classica musica folk, contadina forse, utilizzata con diversi approcci a seconda della storia narrata anche se con un atteggiamento ritmico da parte della batteria slegato a questa dialettica austera per restare, lei, fedele alla retorica del blastbeat, degli stacchi violenti e dei drop più heavy.
Come accennato in parte prima bisogna, per poter parlare del lavoro svolto, dividere il discorso in 5 parti, 4 per i racconti ed una per la suite finale.

La prima tripletta di canzoni racconta il percorso di un truffatore che, passando la vita nelle corti nobili di inizio 20° secolo, scappando costantemente dalla legge e dai suoi creditori arrivò a trovare, come ultima via di fuga, la fede per poi fondare una propria scuola, figlia  dicotomica di una vita di truffe ed un finale desiderio di redenzione. In questo primo caso l'approccio si fa diretto, principalmente in maggiore, richiamando una qualche atmosfera regale, tralasciando momentaneamente il bass pedal e mettendo in prima linea il violino spalleggiato dall'armonium che meglio lo indirizza nella sua corsa incessante.

Da qui si passa alla banda Przyssawka. Un gruppo di soggetti davvero poco raccomandabili che, uniti dalla vita da strada, finirono per diventare un'attrazione da baraccone, vestiti con pelli di orso e pagati per farsi foto con i turisti, diventarono un'inusuale quanto scomoda realtà di Oława, in Polonia. Ora la scrittura si focalizza su certe sonorità comuni nell'est europeo. La nota più particolare, se così si può dire, è l'originale utilizzo del delay sull'organo per la traccia "Il Picchiatore" dove questi trilli, che compaiono ora prima essere fagocitati dalla frenesia del tutto, danno un effetto di continuo andirivieni richiamando l'immaginazione proprio a dei pugni scagliatici addosso dai nostri diffusori.

Il prossimo non sarà un raccolto agrodolce come i precedenti, bensì una vera e propria storia di circonvenzione d'incapace, colpevole, quest'ultima, solo di essere figlia di buona casata. Il lavoro di descrizione uditiva dei personaggi si sofferma ora su quella che è la volontà degli stessi nei confronti della vittima, dolce e disillusa come il pezzo d'apertura, "La Sposa", decide di descriverci attraverso un lavoro di violino scarico da ogni intenzione violenta e semplice come la sua controparte umana. Seguono a questa altre composizioni presentanti tratti austeri e malinconici, misti comunque a delle sferzate violente e a degli stacchi veloci capaci di sottolineare quella violenza neanche troppo sottesa nell'animo dei suoi aguzzini.

L'ultimo dei 4 racconti è basato sulla signora Sophie Unschuldig, classica vedova nera che, capace solo di sperperare le proprie ricchezze, ricerca ogni volta un nuovo amante per abbandonarlo quando spoglio di ogni risorsa economica.
Siamo arrivati con questo al capitolo di passaggio, differente da tutto quanto affrontato in precedenza ma ancora inidoneo per esser ricondotto a quanto presente sul lato B .
Non esistono più blast beat, gli strumenti hanno il loro posizionamento nell'ambiente e non si spostano da lì. Dimenticatevi lo scontro sonoro dei temi precedenti e la loro rapsodia, ora tutto gode del suo spazio senza eccedere. Neanche dal secondo minuto in poi, quando si aggiunge alla scena sonora l'organo, viene meno il focus di quanto raccolto fin'ora, mantenendo, di fatto, quella naturale fluidità necessaria proprio in un lavoro caronteo come in questo caso.

Si conclude il lato A e quanto presente sulla seconda facciata differisce totalmente dal resto del progetto.
Nel lato B siamo di fronte ad un suite di quasi 20 minuti, nata da un'improvvisazione all'organo poi riarrangiata e limata per facilitarne la fruizione. Il risultato finale è quello che viene, giustamente, descritto dagli stessi autori come "una sorta di colonna sonora per un flusso di pensiero", dove quest'atmosfera leggera e lenta già presentata da "Sophie Unschuldig" diventa poi un susseguirsi di richiami ora allegri ed ora tetri e claustrofobici.

Il risultato finale, come premesso è ottimo ma non perfetto. Alcuni stacchi di batteria non si fondono perfettamente con il lavoro armonico portante e talvolta quasi distrae l'ascoltatore. Accade anche che, a mio avviso, non sempre il collegamento tra la storia raccontata ed il proprio corrispettivo sonoro non si palesi in modo evidente. Sicuramente un lavoro del genere non è facile dal momento che musica e narrazione non sono elementi semplici da collegare, ancor meno quando si tratta di  avvenimenti così singolari e complessi a livello emotivo, scevri da un pregresso culturale su cui far appoggio. Il livello produttivo poi è davvero particolare. Cupo, con alti fortemente limati e claustrofobico, non patisce comunque la mancanza di dinamica e riesce a non riempire le orecchie dell'ascoltatore con un'infinità di bassi spropositati nonostante talvolta, quando entra in gioco l'organo hammond, la scena tenda a saturarsi di suoni non perfettamente intellegibile.
Ottima poi l'idea di estrarre la suite e porla nel lato B, proprio a sottolineare la differenza con il resto del progetto.Il solo gesto di dover prendere il disco, girarlo e riposizionare la puntina al principio pone l'ascoltatore in un atteggiamento differente, lasciando in un certo senso indietro quanto affrontato fin'ora e preparandolo a qualcosa di diverso che da lì a poco si presterà ad iniziare.

Questo duo, nonostante tutto, sta  facendo scuola, provando a suo modo a tracciare una via e riuscendoci, in un modo dell'altro. A differenza dei lavori precedenti questo è più compatto ed omogeneo, merito forse dell' obbiettivo postosi motivazione portante per dare una direzione chiara al progetto. Sicuramente "Bancarotta Morale" è una novità importante per quanto riguarda  l'avanguardismo tutto ma non solo. Un invito ai musicisti nel non percorrere strade già consolidate, a creare elementi nuovi e discontinui con strumenti non convenzionali o stravolgendone l'approccio, dimenticandosi di come lo strumento musicale stesso sia stato percepito fino ad oggi.
"Bologna Violenta", a fronte di questa uscita, si presenta ancora una volta come una doppietta di menti fuori dagli schemi, un progetto estraneo da logiche di mercato e che davvero cerca di maturare un discorso evolutivo chiaro ed utile, in una qualche misura, allo sviluppo di un arte sempre più assoggettata ad uno schiavismo neo-industriale.

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