Mentre Tutto Cambia: Ascolti da Quarantena


Una piccola premessa è doverosa... 
Questo articolo era inizialmente concepito come piccola riflessione, a fronte dell'allentamento del lockdown, su come una situazione simile abbia modificato più o meno artificialmente il mio approccio ed il mio gusto musicale. Purtroppo e per fortuna, però, con la diminuzione delle restrizioni torna anche il lavoro, con turni settimanali e sempre meno tempo libero. Aggiungiamo a questo che il mio secondo lavoro, quello del liutaio, ha avuto una leggera impennata e che quelle bellissime persone della Isiline non sono in grado di fornirti il servizio che paghi profumatamente ed ecco come il disegno di un articolo che doveva uscire più di un mese fa  si delinea nettamente in quelle che sono poche frasi scritte nei rari 10 minuti liberi sparsi quà e là, frammentati nelle poche giornate in cui l'universo decideva di volgere a mio favore.
Risulterò quindi un po' retrogrado? Forse.
Ripeterò cose già dette da altri? Quasi di sicuro, ma non mi interessa.
Certamente non farò i numeri che avrei fatto un mese fa' e non importa, come articolo è stato il più sofferto, anche se non necessariamente il più impegnativo, ed è per questo che non lo lascerò sparso tra note e spunti scritti quà e là.
Sono tempi un po' del cazzo, lo so,. ma ne usciremo....
Già che ci siamo voglio anche rassicurarvi dicendovi che arriveranno presto, tempo permettendo, diverse recensioni in collaborazione con etichette o band indipendenti che hanno deciso di farmi ascoltare i loro lavori in anteprima. 

Ci siamo quasi, con le dovute restrizioni dal 18 si potrà tonare ad una certa normalità e a fronte di ciò è quasi obbligatori domandarsi come si siano trascorsi questi due mesi e come interfacciarsi alla nuova, vecchia, diversa realtà
Questi giorni interminabili chiusi in casa ti segnano, la convivenza forzata con se stessi e con i propri pensieri cambia, forse evolvendolo, il nostro approccio verso i conviventi e verso il mondo.
È esattamente in questo ambiente emotivo che anche i miei ascolti mutano, lasciando da parte ogni elemento di leggerezza e privilegiando ogni pulsione dalla parvenza propositiva ed istintiva. Naufrago così su lidi tanto belli quanto scomodi, spoglio da ogni riferimento conosciuto come un coraggioso avventuriero del proprio limite. 
Accade allora che da una tragedia nasca una spinta costruttiva , nel mio caso data dalla perdita di Genesis P-Orrdige e dal postumo interesse sulla sua figura (sulle sue figure?). Un avvenimento simile infatti  ha portato un magazine di spessore quale Blow-Up a dedicarle 20 pagine di approfondimenti fitti sulla vita e sulla poetica. Si apre così un nuovo mondo fatto di industrial, british hard pop, acid house ed arte performativa, per  la quale mi ritrovo non solo sprovvisto di strumenti analitici efficienti ma anche di punti di riferimento veri e propri per poterne esacerbare i contenuti.
Per chi, come me, non ha vissuto in prima persona certi momenti storici, che non ha conosciuto la mail art e vive in ciò che il movimento industrial ha lasciato, si trova ora a discostarsi dalla convinzione che industrial sia la tendenza di qualche metallaro tedesco nel  proporre ridondanze martellanti con suoni artificiali e minimal, scoprendo concetti ben più strutturati e profondi, quasi esuli dal discorso musicale, sul quale poggiano per una questione stilistica più che concettuale.
Trascinato così da suggestioni grevi e ritmi rarefatti, alienato un po' dalla reclusione forzata e un po' dalla ricerca di nuovi orizzonti, casco di petto sugli "Acid Mothers Temple & The Melting Paraiso UFO", ritrovandomi di fronte a quell'uscita protagonista anche del record store day di quest'anno, "Nam Myo Ho Ren Ge Kyo". Ascolti serali e solitari da cui è impossibile staccarsi, questi militanti della psichedelia moderna trovano il loro contraltare nei tedeschi "Bohren & Der Club Of Gore", già protagonisti del blog e che, eccezione fatta per l' ultimo lavoro, conosco molto bene. Trovano in questo modo un posto nelle ore tarde ritmi lenti e richiami ancestrali , a voler dare la buonanotte ad un mondo che, ora, può davvero permettersi di riposare in quel silenzio che mancava da tempi immemori.
Cedono il passo i punk, privati della rabbia di cui si alimentano, persa nella noia di giornate monotone, in cui i pochi spunti di iracondia ancora una volta volgono verso la scoperta. Arriva proprio in queste rare occasione la piccola parentesi dedicata ai "Depraved", band power violence californiana attiva da 4 anni e conosciuta qui in Italia grazie alla collaborazione con l'etichetta "Grindpromotion", curatrice di un paio di loro uscite. Essendo comunque una parentesi lampo viene a spegnersi piuttosto in fretta lasciando spazio a qualcosa di ben'altra caratura. Fuori dalle nostre porte il caldo inizia ad ardere i primi campi e l'assenza del classico rumore di pneumatici sull'asfalto richiama uno scenario desertico che solo pochi possono, e devono,  prendersi il compito di attraversare. Da questo scenario desertico deriva la spasmodica ricerca somatizzatrice di suoni aridi e lontani, figli di un panorama  geografico e culturale estraneo alla nostra abituale concezione della musica. Torna quindi di prepotenza quanto già scoperto intorno a gennaio, tutto quel movimento nato nella zona subsahariana in cui ,da  meno di una decina di anni a questa parte, vengono scovati talenti inauditi, dotati di un talento esecutivo ed una naturalezza nella scrittura notevole, legata a doppio filo a quel deserto che conoscono e sanno come affrontare. L'enorme successo di Mdou Moctar, forse il primo scoperto dalla Sahel Sound, porta così a focalizzare l'attenzione su altri artisti simili come Bombino o Tinariwen, aprendo le porte ad un sottobosco di artisti degni di essere riconosciuti tra quelli che dovrebbero essere i grandi di questa epoca. Da questa volata sui deserti gli orizzonti si espandono per fondersi dove questo viaggio ebbe inizio, quella musica elettronica prima industrial è ora strozzata dalla povertà di mezzi e trasformata in un calvario di hammond elettronico su basi minimal a16 bit dagli echi  funky.  Si raccolgono grazie all'artista Mamman Sani, nell'antologia "La Musique Électronique Du Niger", delle piccole perle di sperimentazione acerbe e povere di produzione ma ricche di idee e di piglio..
Gli ultimi giorni poi, tra l'ansia del ritorno a lavoro e la paura di mostrarsi trasandati come topi, il collegamento con i brasiliani "Ratos De Porao" viene diretto. Il loro nome è sinonimo da anni di crossover punk/thrash, genere ottimo se si vogliono ricaricare le batterie. Che sia "Seculo Sinistro" o "Carneceria Tropical", che si ritorni alle origini del mito con "Crucificados Pelo Sistema" o "Descanze em Paz" non fa differenza perchè sono tutti album che hanno scritto la storia da quando, con "Brasil", la "Roadrunner" decise di portarli alla vista del mercato mondiale.
Ci siamo, quindi, il cerchio si è chiuso e tutto sta lentamente tornando come prima . In questo discorso, così leggero e sconclusionato, troviamo secondo me una prova di come molto spesso non siamo totali fautori delle nostre scelte, bensì l'ambiente in cui ci troviamo a spostare il nostro gusto e la nostra voglia verso un genere o un artista rispetto ad un altro.
Dando per assodato che quanto detto sia vero è quindi lecito pensare che in questi due mesi qualcosa di nuovo sia nato e no, non parlo di un nuovo genere di concerti  su youtube o di una (non) regia casalinga per i videoclip, bensì di un nuovo movimento, una nuova moda che spazzi via vecchi stilemi visti fin'ora. Qualcosa cambierà, non mi è dato sapere cosa ma la sicurezza c'è. Uno stravolgimento attitudinale obbligatorio così espanso ha fatto e farà scattare in questi giorni di divieti e restrizione una molla nella testa di molti, allontanandoli, si spera, da quello che ad ora stava divenendo un ritorno agli anni '80, con quanto di brutto si portano dietro. Certo, come movimenti di rivolta erano saltati fuori l'hardcore, lo straight edge, il post-punk e tutto il fervore dark/goth nel calderone new wave a contrastare quella tendenza delle major degli artisti usa e getta, del minimalismo nelle produzioni, della dance vuota e, oggi a differenza di allora, della mancanza quasi totale di quelle poche eccezioni degne di nota.
Nell'epoca della trap il posto di quegli "Eurtithmics" o Rick Astley che, nonostante un sound altamente commerciale, riuscivano a portare un contenuto profondo e sfaccettature ricercate in ciò che presentavano. Siamo tornati talmente tanto in quegli anni da rivivere persino lo stesso cambio di supporto ma a parti invertite. Il CD ci sta abbandonando, visto di mal'occhio da quegli audiofili che già dai primi anni dall'uscita sentivano stretta la campionatura a 44,1 Khz, e dalla massa che non ne percepisce più la necessità, tanto da non sentirne la mancanza nelle autoradio di ultima generazione.  Il vinile ritorna come supporto prediletto dagli appassionati e da quella persona su dieci che in casa sua non ha un giradischi (no, quelle scatolette da supermercato non contano). Poi le cassette… Perché nel 2020 la gente vorrebbe ancora delle audiocassette se non come simbolo immobile della forma sopraffatta dalla sostanza, unita, forse, ad un effetto nostalgia?
Dobbiamo forse dare ragione ad Hegel? Davvero nella storia le tragedie si ripetono sempre due volte uguali?Staremo a vedere ma io spero, ancora una volta, di dover dar ragione ad un certo filosofo rosso e convincermi che la tragedia è passata e che ciò che stiamo vedendo sia soltanto una farsa.