Jazz: da dove iniziare, alla mia maniera




Poco più di anno fa mi resi conto di aver finalmente trovato la voglia per colmare una grossa lacuna personale: il jazz. Uno dei generi più antichi, tra quelli ancora commercialmente rilevanti ai giorni nostri, nonchè dei più importanti e "colti" e dalle maggiori derivazioni in assoluto.
Il mio approccio è stato parecchio spontaneo e semplice a dirla tutta: aprivo youtube, mettevo sù tutto ciò che mi passava sotto mano e la ascoltavo mentre facevo altro. Ogni volta che qualcosa, qualsiasi cosa, mi colpiva, stoppavo tutto e mi segnavo artista e titolo dell' album. Da questo primo esperimento sono poi arrivato a cercare da Matrix, tra i suoi  suoi CD in offerta, qualcosa con la copertina interessante, provando ad indovinarne il leitmotiv.

Dopo un anno o più passato a fare questi piccoli esperimenti e slanci musicali voglio quindi provare a dare dei suggerimenti a chiunque voglia approcciarsi al genere non conoscendolo minimamente. Tenete presente che la seguente è una lista senza alcun ordine di preferenza, contiene un sacco di mancanze importanti, non corrisponde alla mia visione di quelli che sono i migliori album del genere e non vi darò alcuna spiegazione per le scelte fatte.
E quindi LEEEEEEEEEEET'S GOOOOO:

Reperti: Comaneci - Volcano (Album)


Questa volta la storia è breve: entro in negozio, sfoglio i CD, ne vedo uno con la copertina super pucciosa e, ad un euro, lo compro..
Salgo in macchina, lo metto su, ne apprezzo la calma ed il mood generale, arrivo a casa, lo copio sul PC e lo ripongo nella colonna infame dimenticandomene per un numero imprecisato di mesi.
Inaugurando questa rubrica e dovendo fare un po' di numero ho ripassato tutti i miei acquisti passati ed è ricicciato fuori all'improvviso.
Lo faccio girare un po' e ne vengo catturato immediatamente.

Non so perchè,  probabilmente la qualità migliore rispetto alle casse della C1, forse ero semplicemente più concentrato rispetto ad un ascolto tra analfabeti funzionali che non sanno prendere le rotonde, fatto sta che mi innamoro di tutto.
Dalla copertina martorizzata dal tempo fino ad ogni dettaglio sonoro, tutto è intriso di un'economicità strutturale che rivela però un ottimo impianto emotivo, capace di accompagnare  la vita quotidiana tanto quanto cullarci nel torpore di un viaggio, immersi nei nostri pensieri e riflessioni.
Andrea Carella, Francesca Amati e Jenny Burnazzi  questi i "Comaneci", trio  di scrittori da cui nascono le canzoni, sicuramente persone molto legate fra loro,essi stessi specchio della musica che propongono.
Melodie leggere, intime, grevi, bucoliche e cangianti riescono a coprire perfettamente ogni situazione e a guadagnare significati diversi a seconda dei momenti. Chitarra e violoncello sono il cardine su cui tutta la struttura sia ritmica che melodica si basa; sempre improntati a stendersi a tappeto senza mai sopraffare la voce, se non nei rarissimi momenti in cui volutamente viene posto un accento su parti di rilevante interesse in cui riportano alta la concentrazione dell'ascoltatore. Uno strappo a questa regola viene fatto nell'intro di "You're Liars" dove il violoncello, in modo totalmente sgraziato, irrompe nella scena, slegandosi dal contesto e dal suo essere strumento musicale per diventare un personaggio a se stante, distaccato dalla linea principale ed agendo come impersonificazione della menzogna stessa analizzata nel testo, sapientemente enfatizzato da un ritmo incalzante nei versi antecedenti all'accusa del ritornello, viceversa molto pacata e passivo aggressiva.
Adoro poi "Houesmate", davvero perfetta nell'impostazione vocale e con un ritmo incalzante, che corre per fermarsi improvvisamente, riprendere fiato e ricominciare la corsa da dove si era fermata, incattivendosi nel finale con scoccate di violino e battiti di chitarra.
La mia preferita rimarrà però sicuramente "One Night", dove un delicato romanticismo viene narrato da un cantato estremamente preciso e pulito, per nulla trascinato come in altre canzoni, va ad unirsi a questo la chitarra che, dapprima solo acustica, viene accompagnata e poi superata da una elettrica sporca, a voler forse sottolineare lo sviluppo sempre più cinico delle storia con l' avanzare del racconto.
I suoni poi sono ottimi, il fatto che spesso in scena ci siano non più di due strumenti oltre la voce ha fatto si che in studio si potesse lavorare in comodità seguendo ogni singolo aspetto in ogni traccia lasciando una spazialità, una dinamica, una qualità generale nel mixaggio che fanno invidia a produzioni incredibilmente più costose.
Il packaging poi è finalmente qualcosa di differente perchè, a fronte della solita sottiletta in cartone, troviamo anche una bellissima confenzione in tessuto cucita a mano con sul fronte una toppa con la forma dei piccoli esserini disegnati in copertina. Sicuramente un ulteriore tocco personale che rinforza la pudica idea di intimità che trasmette tutto il lavoro.
Quando ci si trova davanti a un'opera del genere la sola cosa da fare è, e sarà sempre, star zitti, spegnere la luce e lasciarsi trasportare dalle emozioni senza stare a studiare quello che viene fatto, lasciar parlare il cuore e comunicare con la sola semplicità che questa musica di radici rurali può trasmettere.


Reperti: Contigo - Un Altro Posto (Album)


REPERTI.
Quello che ho qui oggi, ragazzi miei, è davvero un reperto storico della Granda; figlio di quella sommessa voglia di staccarsi dalla realtà provinciale, musicale e non, per aver un più ampio respiro. Non a caso, infatti, queste considerazioni trovano conferma nel titolo "Un Altro Posto", ideologico e geografico, a cui tendere ed in  genuinamente cui sperare.
Essendo secondo me il contesto in cui certi dischi vengono scovati la parte più importante dell' articolo, vi racconto una la bella storiella di una domenica pomeriggio passata tra la pioggia  e la puzza di muffa in macchina.
Avendo avuto finalmente quella ventina di euro da poter spendere e ricordandomi che il Mercatino di Savigliano è uno di quelli meno frequentati della provincia, domenica scorsa abbandono la famiglia e sfido i flutti cumulonembici. Arrivo contro ogni aspettativa a Savigliano alle 2:30 per ricordarmi solo troppo tardi che il negozio apre alle 3:30; sono però davanti al cancello, giacca tirata sul capo, e ho ancora un' ora davanti. Grazie a Dio giusto dall'altra parte della strada c'è il Mercatò e, almeno, potrei sfruttare i loro climatizzatori. Attraverso la strada e mi fiondo alla porta e ,ovviamente, la trovo chiusa, perchè non essendo il classico supermercato non fanno orario continuato, apertura alle 3. Per lo meno solo mezz'ora al freddo è già tutto di guadagnato. Aspetto come un povero mendicante davanti alla porta e quando finalmente apre mi butto dentro a cercare per lo meno un po' di calore e poi ritrovarmi  a meditare sul fatto che tra un po' è natale, non ho una lira, ed una nipote piuttosto esigente; prendo una Monster ed esco dopo mezz'ora. Ancora piove, mi tiro la giacca sulla testa e corro già sapendo che il cancello del Mercatino sarebbe stato ancora chiuso, perchè si sa che la puntualità non è mai stata contemplata in certi posti, però dai, che vuoi che siano 10 minuti di attesa?
Fossero stati dieci... sono stato a contare le gocce in macchina fino alle 4 facendo capolino ogni tanto sperando in qualche novità ma nulla e, onestamente, mi stavo anche rompendo di sta cosa. Vado così a fare un giro all'Elecler lì vicino , dato anche che mezzo litro di Monster la natura la chiama tutta e avevo bisogno urgentemente di un cambio d'olio. Long story short, alle 4.30 torno per dargli l' ultima possibilità e, miracolo, lo trovo aperto. Eccoci quindi dentro, non ho molto da dire su questo negozio in realtà, è forse il più basico tra tutti, ha giusto un porta cd verticale con qualche album buttato lì a volte senza copertina  volte no, uno scatolone con dei 78 giri, un po' di dischi in pessime condizioni e poi libri, soprammobili, vecchi TV e  la solita roba che la gente non vuole tenere a casa. Passo così in rassegna il porta CD e trovo roba interessante: "You've Come A Long Way, Baby" di Fat Boy Slim, le colonne sonore di "The Beach", dell primo"Pirati Dei Caraibi" e del primo "Le Cronache di Narnia", per il reparto vinilifico invece ho scovato un buonissimo "Wha'ppen?" dei "The Beat" ed un, beh, interessante(?) "Profumo Di Blues" di Paula Rose.
Non mi resta che dividere le acque come Mosè  e tornare a casa.

Dopo questo leggero preambolo passiamo a parlare del disco in sè. La copertina ed in generale tutta la grafica non è che sia granchè, classica economicità invecchiata male, con questo sfondo blu marmo a ricordare i bei tempi di windows 98.
Già dal titolo, come preannunciato nella premessa, si capisce come questo lavoro voglia colpire un vasto pubblico e avere una risonanza slegata da una nicchia specifica, che possa trovare consensi in più di un genere senza però legarsi a nulla fino in fondo. Sono chiare da subito le derivazioni funky come quelle rock, dalla impostazione vocale chiaramente ispirata da Danilo dei "nuovi" Nomadi ,(ri)nati proprio in quegli anni,. Alla chitarra a volte sommessa a volte no, ma sempre movimentata, si introduce anche un sentore di pop commerciale britannico e, perchè no, anche più di uno spunto di italo dance anni '90, come insegnato da Gigi D'agostino, Eifelle 65, Gabry Ponte e compagnia bella.
Gli amanti del basso, inteso sia come strumento melodico che ritmico, sicuramente rimarranno contenti dalle linee presenti in questo album, messe in risalto nel mix sia quando serve che quando se ne potrebbe fare a meno.  Nei suoi giri più interessanti è bello farsi trasportare dalle frequenza del woofer ma, nei ritornelli o nelle parti più tranquille, quando questi accompagnamenti diventano semplicemente la tenuta di tonica, diventa un protagonista un po' fastidioso.
La caparbietà nel mischiare gli stili gli sfugge di mano solo poche volte, sicuramente nella seconda canzone, "Formalità" dove passiamo da una commistione di rock/funky con qualche stacco prog molto leggero nel precedente "Innaturale", ad un canzone dance dai richiami anni 80 quasi da sigla per cartone animato, cassa spinta e costante, basso quasi sullo stesso livello della voce e chitarra funky nella cassa destra, onestamente sto pezzo proprio non l'ho capito.Ovviamente non mancano i lenti, piuttosto ben studiati e ballabili anche loro, con giri armonici che cercano continuamente delle chiusure protratte  fino a versarsi sulle rive più "power" dei ritornelli; una struttura certo consolidata, funzionale , quasi classica che però, nel complesso,  tende ad esser ridondantemente ultra utilizzata. Una menzione d'onore va sicuramente fatta al pezzo "Dove Si Va" che per molti potrebbe forse essere l' anello debole, perchè davvero ripetitivo, ma che mi ha preso per come riesce a creare salite e discese sia ritmiche che melodiche con una assoluta naturalezza, qualcosa di molto difficile.
Tecnicamente questi ragazzi sono incredibili, penso provengano tutti da situazioni formative piuttosto serie, precisi nei tempi, anche i più difficili, ottimi negli arrangiamenti che, grazie proprio alla sperimentazione e alla commistione di generi, riescono a non risultare mai banali, proponendo ogni volta una formula diversa senza (quasi) mai uscire dal tracciato impostatosi.. Convincente così anche la parte vocale, capace di muoversi e creare scale senza difficoltà, talvolta, poi, aiutata da una voce femminile per cori o per sezioni intere.
Un lavoro del genere, che punta alla fusion, ma anche al rock, al pop, alla dance e riesce a creare comunque un sound funzionale ed emblematico spicca sicuramente in un panorama musicale come il nostro. Un ascolto leggero che nasconde in seno una buona complessità capace di piacere all'ascoltatore casuale ma anche interessare a chi non si  accontenta della "solita roba" derivativa e risentita.
A quanto mi risulta questo è l'unica uscita fatta ed invito chiunque a procurarsene una copia, qualora la si trovi. Mi piacerebbe anche poter caricare, con il consenso degli artisti,  l'album su youtube e, non sapendo come contattarli, vi chiedo se qualcuno possa riuscire a darmi una mano in tal senso.
Un prodotto del genere non ha avuto successo ai tempi probabilmente perchè cercava di tendere ad un mercato esterno a quello della provincetta, trovandosi però imprigionati sia inizialmente da radici musicali ninety e in secondariamente dalla provincia stessa , da sempre incapace di promuovere adeguatamente ogni forma di iniziativa culturale lontana dal mainstream di discoinferni straripieni di paganti annoiati dalla ripetitività lavorativa settimanale.

Mercatino musicale @ QI centro aggregativo, Cuneo

br /> 20 e 21 dicembre.
Corso Vittorio Emanuele II 33, Cuneo


Piccolo spoiler


La sezione "reperti" non è stata abbandonata come un quattro zampe in autostrada, abbiate fede. Ecco un piccolo spoiler tutto per voi. Segnalo inoltre che tra poco uscirà un mio articolo sul sito
www.tadcarecords.org con il quale collaboro ormai da più di due anni.

Gettare la spugna o morire da eroi?


Una domanda che mi pongo di tanto in tanto ma che ultimamente non si schioda.
Mercoledì scorso sono stato a Caramagna dove si è svolto il concerto degli Exploited. Togliamo la lieve polemica che ne è scaturita dovuta alle 5 band di apertura, davvero troppe per un concerto del mercoledì sera, e focalizziamoci sulla main band. Sono in giro da una vita e dal 1979 ad oggi sono riusciti a stare sempre, nonostante una piccola caduta negli anni 90, sulla cresta dell'onda, nonostante della formazione originale ormai sia rimasto solo Wattie, il cantante.
La band in fondo è lui, senza nulla togliere agli altri membri ovviamente, e la cosa era palesata quando, a concerto finito, tutti quelli che si erano fermati cercassero solo lui per eventuali foto o autografi, noncuranti dei musicisti che intanto stavano smontano l' atrezzatura o semplicemente girando per il locale. Wattie però ha una certa età, è del 1957, ed è uno che la vita l'ha vissuta senza porsi troppi problemi per il futuro, come ogni punk che si rispetti, ma questo non ha certo giovato alla sua salute; sono celebri infatti i suoi problemi cardiaci che lo hanno portato sempre più spesso negli ultimi anni a sottoporsi a cure ed interventi importanti. Vien da se che una persona così faccia una fatica assurda stare sul palco, raddoppiata dal genere che suona e dal suo tipo di cantato. La performance a cui ho assistito mette ben in luce tutte queste criticità: pochi movimenti sul palco, gain del microfono a manetta che in più occasioni fischia quando avvicinato alle spie, attacchi blandi nei versi, lunghe pause tra una canzone e l'altra e in generale poco slancio. Questo non pregiudica totalmente lo spettacolo, ovvio, ma lascia quel retrogusto amaro in bocca dell'aver visto qualcosa di potenziamelnte migliore, una scusa per poter dire di aver strapagato il concerto, un motivo per non tornare a casa entusiasta come vorresti.
È giusto quindi continuare quando si palesa una situazione simile? La risposta potrebbe sembrare semplice ma non lo è affatto, né per lo spettatore, né per l' artista.
Dal punto di vista del fruitore a seconda dell' attaccamento possono sorgere pareri differenti, ad esempio, un fan medio, colui che ascolta i brani e va ai concerti quando capita ma non si interessa di seguire notizie e avvenimenti, non patirà molto lo scioglimento, mentre colui che oltre alla musica vive anche la scena, idolatra certi atteggiamenti e rispetta certe posizioni pone in primo luogo la persona e poi il suo lavoro. Ecco, questo genere di ammiratore preferirebbe che l' artista smettesse di fare ciò che fa e pensasse più a se stesso. In ultimo luogo abbiamo tutta quella schiera che slega totalmente la persona dalla musica e sono loro a voler vedere il loro gruppo preferito andare avanti ad oltranza, come adoni grechi.
Come dovrebbe comportarsi quindi il nostro mito di fronte ad una cosa del genere? Scindiamo il personaggio pubblico dal privato e la musica, con i suoi generi, dalla scena. Nel caso in questione abbiamo una persona che per tutta la vita è stata su un palco, sempre circondata da gente con le sue stesse ideologie, i suoi pensieri e i suoi modi. Una cosa del genere porta spesso all' alienazione, non per forza una cosa negativa, oggettivamente però questo stare non completamente legato alla società che lo circonda porta sicuramente con se la paura del cambiamento, della difficoltà di adattarsi a nuovi ambienti. Non credo sia questo il caso però, Wattie ha 62 anni, potrebbe lasciare tutto e vivere di rendita senza problemi. La salute è però una cosa seria, e lo sa bene dal momento che gli basta specchiarsi per ricordare ogni singola operazione subita e guardare un po' di foto degli ultimi 10 anni per capire quanti danni a livello fisico portano certe medicine .Ecco perché credo che quello a cui stiamo assistendo sia un tentativo di auto mitizzazione da parte di un uomo che vuole martirizzarsi per nutrire la sua ego, perché ,diciamocelo, basta ascoltare le interviste nell'ultimo periodo per notare quanto si reputi, a ragione o meno non sta a me dirlo, uno degli ultimi rimasti "puri", ma non riesce a star dietro a quello che predica.


Finito il concerto sono rimasto insieme ai miei amici ad aspettare che il gruppo uscisse per i classici saluti e le foto di rito. Bassista e chitarrista erano sul palco a smontare l' attrezzatura mentre Wattie e suo fratello nel backstage a far cena e non avevano gran voglia di uscire. Fortunatamente, conoscendo gli organizzatori, quello di noi che voleva gli autografi resta ad entrare, mentre io restavo a far da guardia per non far intrufolare troppa gente sul palco a creare problemi. Qui non so bene cosa successe perché ero impegnato in altre questioni ma, per quanto ne so, non volevano uscire perché troppo stanchi. Alcuni minuti di attesa e mi viene chiesto di contare quanta gente ci fosse ad aspettare (saranno state una ventina di persone in tutto), un altro po' di attesa e Wattie esce. Nulla di speciale però, appena il tempo di svolgere il compitino per poter tornare a sedersi.
Non voglio dire che sia un menefreghista o che voglia farsi desiderare ma era ovvio che non volesse stare lì e preferisse riposarti. Stando così le cose allora perché non lasciare perdere? Cerchiamo di essere onesti, è evidente che ciò che vorrebbe essere è diverso da ciò che riesce ad essere.
Fatica a stare sul palco, con i fan, problemi di salute uniti ad una certa età sono tutti chiari indizi di una carriera da finire, lasciando comunque una buona immagine, invece di continuare fino a divenire la propria controfigura scanzonata.

Spero seriamente se ne accorga presto e che getti la spugna, cedendo la scena come la leggenda che è e non come la copia mal riuscita degli ultimi anni, augurandomi che nel frattempo la sua testardaggine non crei dei risvolti irreversibili.

Gli auguro ogni bene ma seriamente, la mia preoccupazione è molta.


Polvere alla polvere, cenere alla cenere


Prima di tutto scusatemi per la mancanza di articoli costanti ma in questi giorni tra neve siberiana e colloqui di lavoro la mia connessione con il mondo etereo del web è stata seriamente compromessa ma non temete, sono già all'opera sulla mia prossima diatriba interiore. 

Questo blog è stato inaugurato con un articolo contro i Punkreas ma essendo una persona seria devo dare a Cesare quel che è di Cesare, il loro nuovo singolo "Sono Vivo" è ottimo.
Lanciato per supportare l'uscita di "XXX", il loro best of, ha finalmente dei suoni interessanti, molto rock, un ritmo che si alterna tra classico punk mid-tempo e una cosa un po' più heavy rock con un ritornello semplice, incalzante e memorabile. Una struttura classica ma sfruttata a dovere per questi 3 minuti inediti.
Seppure la mancanza di un testo interessante (cosa a cui ho rinunciato con la separazione da Flaco), questa volta i complimenti vanno fatti, BRAVI, speriamo che sia questo il punto di inizio per un prossimo album degno di esser nuovamente chiamato tale.

Interrompiamo le trasmissioni per una notizia straordinaria


Come potete vedere dal link qui a destra ho creato una playlist su spotify contenente un po' di ciò che ascolto. Ovviamente non è tutto, mi pare inutile inserire discografie intere, ma provo a proporre una buona rapsodia di ascolti.
Ecco il link 

Combattiamo le nostre paure con un grande Roar


Non ho mai sopportato la musica pop commerciale, l'ho sempre trovata altamente superficiale e legata a stilemi radiofonici molto lontani da me, non è questa però una scusa buona per emarginare una fetta così ampia di mercato. Ecco quindi che quando, un mesetto fa, rovistando nei cestoni della Coop di Cuneo, mi imbatto in "Prism (Deluxe Edition)" di Katy Perry e non ci penso due volte a buttarlo nel cestello. In fondo 3 euro posso anche spenderli per amore della scienza.

Mettiamo subito in chiaro le cose: questo album non mi trasmette nulla, mi scorre sopra, idrorepellente insomma,  e l'articolo potrebbe chiudersi qua, ma voglio capire cosa mi blocca dall' apprezzare un lavoro simile.
Volendo tenere un minimo di ordine partiamo il fattore packaging. Sono stanco di queste sottilette di cartone, hanno senso con i vinili sia per la tradizione che per una questione di spazio, ma mi infastidiscono per i CD. Capisco il fatto che il formato fisico sia in crisi e che si debba risparmiare ove possibile ma non è sostenibile dover stare attenti a dove si posa il cofanetto per paura che una qualsiasi superficie non totalmente liscia lo rovini. Tolto questo il lavoro di design grafico della copertina, dell' interno e del booklet è strabigliante, con un ottimo effetto foil, anche sulle foto dell' artista ed il CD molto minimal, semplicemente  titolo e scaletta stampato sul supporto argenteo. Il tema generale pare essere l' esaltazione della bellezza, espressa nei colori, nella natura e nelle geometrie kubrickiane, tutto assolutamente in linea con il titolo dell' album, che si cristallizza anche nella disposizione della scaletta sul retro.
La parte più importante resta però sempre la musica, ed è qua che arrivano i miei dubbi.
Katy Perry è famosa per l'inprinting vocale che riesce a dare ai suoi testi, creando una atmosfera gioviale e ad avere un timbro originale, ma ciò le taglia le gambe nello spaziare stilisticamente e tutto si riversa nell'opera finale. Visto nell' insieme si palesa con una struttura "a singoli" distinti e slegati che restituisce il chiaro intento dell'opera. Questo dare un colpo al cerchio e uno alla botte offre infatti la possibilità di avere un raggio d'ascoltatori parecchio ampio ma, unito a quanto precedentemente detto sulla cifra vocale, impone dei cardini che non sempre calzano con lo stile della canzone in esame. L'apertura con "Roar" è perfetta e non a caso è il singolo principale dell' album, leggermente diversa dalla classica firma dell' artista, un po' più posato e meno dance. Da qui voliamo in "Legendary Lover" in cui ad un vocalizzo melodico iniziale segue una parte di derivazione trap che sfocerà comunque nel solito pop dance, con una piccola parentesi tribale. Fortunatamente questa commistione di generi risulta gradevole e rende la canzone la mia preferita dell' album, cosa che non posso però dire di "Birthday", una composizione davvero semplice, posticcia e classicamente anacronistica strizzando l'occhio alla prima Madonna. Da qui approdiamo poi a "Walking On Air" ed il suo sapore da club, null' altro che la classica canzone da discoteca o festa di paese che può anche funzionare in queste situazioni proprio in virtù della sua totale neutraltà. Dopo questo stacco però inizia la parte totalmente inutile, fino alla tredicesima traccia solo "Dark Horse", pezzo in compagnia di Juicy J, si distingue, il restante è solo un "more of the same" di quanto sentito in precedenza.
Le ultime 3 canzoni sono presenti solo nella versione deluxe, quindi non ne terrò conto, in quanto sono fortemente contrario a questa manovra commerciale di far una re-release con qualche bonus per poter vendere qualche copia in più. La accetto nella misura in cui le aggiunte  siano effettivamente rilevanti, vedi la platinum di "Hellvisback", in cui oltre alle due tracce in più abbiamo anche un intero album live al prezzo di un album "classico".
Un dettaglio di cui non sempre si tiene caso è lunghezza dei pezzi: abbiamo in 13 canzoni una lunghezza media di 3 minuti e 40, tranquillamente sotto i 4 radiofonici, a riprova del fatto che sia questo l' obbiettivo del produttore.

Questo genere di prodotti continua ad uscire in quanto fonte incredibile di guadagno, basti pensare a quanti singoli siano stati estratti, quanti dischi di platino abbia collezionato e per quanto tempo sia rimasto in classifica, a discapito di una veloce decadenza del lavoro. Emblematico come ora, a sei anni di distanza, tutto sappia di stantio e di già sentito, figlio di un finto calore da playlist, costruito artificialmente sullo studio del  consumo di quel particolare periodo che mi lascia nulla una volta terminato l'ascolto in quanto troppo intangibile e fumoso.
Sarà per la prossima.

Reperti: La Loggia - 6 Giovani Prestanti


Si inaugura con questo articolo la prima rubrica del blog: Reperti.
Chi mi conosce sa che sono solito frequentare mercatini dell'usato e portarmi a casa materiale musicale di varia entità. Da questo mio impegno nell'andare a sporcarmi le mani tra ciò che altre vite hanno considerato come cedibile, nasce Reperti: un sunto di cosa emerge dalla polvere delle bancarelle, talvolta album conosciuti di band affermate, altre volte album autoprodotti registrati in un casolare di campagna… Non è forse questo il bello?

Ora che i convenevoli sono stati gettati e le regole imposte è arrivato il momento di mandare a fare in culo quanto appena detto. Sì perché l' album che andrò ad introdurvi lo comprai o, meglio, lo comprò mio fratello per me, al concerto di Caparezza a Cuneo in Piazza Galimberti nel 2004. Ancora mi ricordo la loro apertura, quando tirarono sul pubblico valanghe di adesivi e, a fine evento, quando rincorrevano il pubblico promettendo una birra a chiunque avesse comprato il loro CD. Ero troppo piccolo per una birra, ma non fu un problema.
Direttamente dalla Mondovì del 2002, prodotto grazie allo sforzo di una decina di realtà cuneesi, ecco "6 Giovani Prestanti" dei compaesani La Loggia.
Un album enciclopedico, 28 pezzi di rap/hip hop old school, cantato in italiano e con la presenza di molte collaborazioni, compresa quella dell' ormai famoso Caparezza che all' epoca aveva all'attivo solo il suo album di esordio e tre demo.
L' album parte con una intro, "6", semplice, che si limita a ripetere "6 Giovani Prestanti" per poi sfociare in "Giovani Prestanti", il loro anthem, una presentazione e dichiarazione di intenti. L' obbiettivo è infatti rispettato già dalla seconda traccia, "Testimoni Del Nostro Tempo," che, come dice il titolo stesso, è una descrizione piuttosto distaccata ma non disinteressata  del periodo da loro vissuto. Da qui si procede con "I Dinosaruri dell' era moderna" e i seguenti brani fino ad arrivare al blocco di tracce "4x4 Mance…" in cui i 4 MC che compongono il gruppo sembrano volersi sfidare, ognuno dopo una piccola introduzione ripresa da qualche eserciziario inglese,  proponendo le proprie rime e i prori stili lasciando all' ascoltatore la decisione del vincitore (per me Deeiv). Finito questo quartetto troviamo una traccia singolare, "Polvere Negli Occhi" in cui abbiamo una grande parte di Lara Pagin che insinua il suo cantato melodico sul beat nelle prime battiture per poi tornare nel ritornello. In questo brano si nota proprio come tutta l'attenzione venga data alla Pagin, tant'è che il rappato è eccessivo, rozzo, non pare esser stato davvero curato.
Da questo punto in avanti la qualità dell'album inizia però a scemare e va a tracciare una parabola ascendete trattenendosi faticosamente sulla sottile linea che separa un prodotto mediocre ma comunque in grado di crearsi un seguito e la mediocrità dura e pura, che affoga e scioglie tutto in un unico pastone di somiglianze e scopiazzature.
Saltando ora al lato tecnico, il flow di questi ragazzi è palesemente Naif, presenta errori talvolta grossolani quali accelerate o stop improvvisi per stare sul tempo e le parole non sono sempre scandite in modo chiarissimo. Sicuramente non aiuta il mixaggio che, se nella prima traccia è buono, già dalla seconda è decisamente insufficiente, base troppo alta e voce che viene nascosta da qualsiasi frequenza  che si sovrapponga. Non da meno il lavoro di Mastering, molte volte abbiamo dei bassi potenti ma moderati e compatti, altre volte ogni colpo di cassa sovrasta tutto l' insieme e rimbomba nei diffusori. Nota di merito alle basi che campionano strumenti e poche tracce altrui per poi giostrarsi con una serie di suoni minimali ma di buon impatto e lontani dal sintetismo digitale odierno.
Il lavoro in generale poteva essere tagliato di alcuni pezzi, 27 tracce sono molte e si fanno sentire nei primi ascolti ma capisco che un gruppo del genere, vicino al fenomeno posse come struttura, avesse bisogno di spazio per esprimersi del tutto, del resto gli artisti si sa che sono persone espansive.

La Loggia 6 Giovani Prestanti Album Cover Graffi MusicaliPurtroppo questo CD è un pezzo piuttosto raro da trovare, oltre alla mia copia non me n'è mai capitata un' altra tra le mani ed ho paura che non accadrà molto presto, ogni sito web aperto in quegli anni ormai è stato chiuso e l'unica possibilità è contattare direttamente la band al loro account Faebook, non più aggiornato dal 2017.
Un vero peccato insomma, perché un lavoro del genere non può passare inosservato per ogni amante della vecchia scuola e dovrebbe esser ricordato insieme ad altri prodotti della stessa epoca come "Anima e Corpo" degli ATPC o il progetto OTR, simbolo di quegli anni di passaggio in cui la cultura hip-hop iniziava a ritagliarsi uno spazio sempre maggiore ma che ancora non subiva l' influenza del mainstream, anni in cui non si richiedeva l' esecuzione perfetta ma il cuore ed anni in cui era ancora difficile riuscire a far girare i propri pezzi non era cosa da poco.

Bohren & Der Club Of Gore o il deaffaticamento muscolare



1992, Mülheim an der Ruhr, Germania, 4 ragazzi decidono di mettere su una band. Gli anni erano quelli, esplodeva il grunge e l' hardcore prorompente degli '80 andava morendo, mischiandosi al noise e al post-punk creando un' ondata di band basate sul caos musicale più puro. Da questa città tedesca arriva una band, i Bohren. Una band come molte altre, ad essere onesto, con una buona tecnica ma nessuna caratteristica particolare. Ad un certo punto però qualcosa cambiò. È il 1994, il nome cambia, i rinnovati Bohren & Der Club Of Gore rilasciano  un 7" di dark ambient jazz. Due suite, una per lato, low beat, scuro, ansioso, pochi suoni puramente ambientali, qualche nota di chitarra, spazzole sul rullante ed inizialmente una grande presenza del basso. Ecco quindi gettate le fondamenta per i lavori successivi: canzoni molto lunghe, ritmi estremamente lenti, minimalismo esasperato, un piano sinuoso che riempie quei  rari momenti vuoti e, successivamente un cinico sassofono. Dieci album da scoprire, ovviamente non un ascolto facile, leggero e felice, ma credetemi se dico che ne vale la pena.
Piena notte, un libro, fuori da casa la pioggia di fine ottobre ed un caminetto acceso, ecco il perfetto ambiente in cui assaporare lavori come "Piano Night" o, il mio preferito, "Sunset Mission". La principale preoccupazione in questi casi è che ci si ricicli, che si finiscano le cose da dire o, meglio, da far provare ma loro no, sanno come distinguere le proprie composizioni con semplici espedienti. Prendiamo come esempio "Midnight Radio" ed il sopracitato "Sunset Mission", nel primo caso bisognava ricreare la sensazione di una notte solitaria ed ecco come il basso si adopera nel creare dei perfetti tappeti su cui adagiare lente armonie vibrate e solitari battiti di batteria, fino ad arrivare all' ultima traccia che regala all'ascoltatore un ritmo più movimentato e lo risveglia dal torpore in cui si è adagiato per più di un'ora. "Sunset Mission" invece ci regala il ritratto della città  sotto la pioggia, i ritmi sono leggermente più veloci, il piano si estende ma non  primeggia sul vero protagonista, ovvero il sassofono che, comunque, non vuole troneggiare solisticamente su nulla. A contorno di tutto ciò abbiamo, inserito nel mix in secondo piano i suoni di un temporale, con tuoni lontani e il battito delle gocce infrante sull'asfalto.
Bohren & der Club of Gore è scuramente il progetto più importanti in questo segmento di genere e ciò si vede anche dai numeri, risulta indubbiamente la mia miglior scoperta dell' anno passato, Suggerisco a tutti di ascoltarli, partendo magari dal best of pubblicato qualche anno fa, a stendersi sul letto ad occhi chiusi e a lasciarsi trasportare in questi ambienti dalle loro ispirazioni.

Non ci saranno inchini a sua maestà



I Punkreas sono calati con gli ultimi lavori, poco da fare.
Com'è possibile che la band  più famosa del panorama punk italiano sia cambiata a tal modo da esser diventata una caricatura di se stessa, disegnata da un cieco?

San Lorenzo di Parabiago, 1989, un gruppo di 5 ragazzi registra la sua prima demo e la distribuisce nell'underground, iniziando così la scalata nella scena  musicale nostrana. Ad oggi siamo al quindicesimo album e la musica è cambiata.
Da uno stile molto classico, rude, spoglio siamo sbarcati ad un punk altamente influenzato dal rock classico, con ritmi relativamente lenti e una diversa concezione della struttura e del testo e della canzone.
Una delle qualità del gruppo è sempre stata la sua dinamicità, ogni album era differente dal precedente ed accettava influenze varie. Costanti erano i testi: diretti ma mai espliciti, politici e attuali. Tutto ciò è stato ANNNULLATO con il loro ultimo lavoro e questo tracollo, avviato nell' album Il Lato Ruvido, ha secondo me origini ben precise: Flaco.

Flaco (Fabrizio Castelli) è entrato nella band  agli albori, poco dopo la registrazione di "Isterico", ed ha dato un' impronta pesantissima nella composizione delle melodie e nella stesura dei testi. Quando, il 12 ottobre 2014, dalla pagina Facebook dei Punkreas annunciò la sua separazione dalla band mi parve una notizia sì triste, ma non tragica. MAI potevo sbagliarmi così tanto.
Da quanto emerse in seguito il chitarrista fu letteralmente scaricato su due piedi, in seguito a dissapori e da quello che lui descrive come il delineamento di percorsi diversi da quelli che egli appoggiava.
Ascoltando anche questa intervista mi appare quindi chiaro quali siano questi "percorsi" di cui si parla: canzoni meno impegnate ed impegnative, giri di accordi più vicini agli stilemi classici e commerciali, struttura dell' album non più concepito nella sua interezza quanto come un compilation di singoli e un maggior fattore "tormentone" nei ritornelli. Aggiungiamo a tutto questo una mancata originalità stilistica ed avremo prima, nel 2016, un album piacevolmente non sperimentale come il precedente "Noblese Oblige ", più, giustamente, ruvido ma con meno piglio rispetto ai precedenti e, nel 2019, ""Inequilibrio Instabile", un album con una sola canzone passabile e una marea di passi falsi.
Onorevole il fatto che ormai, avendo raggiunto il successo, non vogliano più trattare argomenti che non sentono vicini e si siano messi a riflettere su di loro anche dal punto di vista personale ma una cosa del genere deve esser fatta con un senso e una forma corretta, non può esser tutto banalizzato come fanno loro e nascosto dietro a melodie corali sciatte e strasentite. Senza Flaco il gruppo ha perso tutto, dal tocco  alla grinta e, a riprova di ciò, ci viene in aiuto proprio il lavoro solistico del Castelli, Flacopunx.
Punkreas Flaco Coleotteri Cover Album Graffi Musicali"Coleotteri" è un ottimo album, estremamente politico ed attuale, lucido, palesemente amato dall'artista che lo fregia di fraseggi arabeggianti, surf, pop, russi con estremo tatto. Per assurdo io sento molto più Punkreas qui che in chi porta davvero tale nome. Un vero peccato che questo
progetto sia morto in pochissimo tempo.
A seguito di un crowfounding conclusosi per il rotto della cuffia uscì il disco e conseguente tour che passò anche dalle mie parti, a Mondovì(CN).
Li vidi quindi dal vivo al Rock Budda Pub, un localino molto bello
 in cui andai con una mia amica. Ad aprire vi erano i Quarantena ed un pubblico a dir poco scatenato(credo di non aver mai più rivisto due persone combattere su una sedia in mezzo al pogo) ma poi arrivò il dramma, durante il cambio palco un sacco di gente si allontanò o addirittura lasciò il locale, tant'è che alle prime note di Flacopunx eravamo poco meno di una decina di persone sotto il palco.
Questa cosa mi fece alquanto riflettere su quante cose influenzino o meno il successo di un progetto. In questo caso credo sia stata una questione di puro menefreghismo, la gente che era lì non conosceva neanche una loro canzone, probabilmente neanche chi fossero e non ha voluto saperne di farlo, estendiamo questo comportamento a livello nazionale, aggiungiamo una scarsa pubblicizzazione ed ecco che, finito il tour, il progetto si chiuse, tra le lacrime di tutti coloro che lo hanno seguito perché davvero credevano in ciò che facevano e non ascoltavano i Punkreas solo perché "li ascoltavo da ragazzo"