Reperti: Koneskin - Liberty Place

Ebbene si, siamo tornati, e lo facciamo nel migliore dei modi, riesumando il figlio  a cui più tengo: "Reperti".
Come è facile immaginare la rubrica è rimasta per diversi mesi soffocata tra lockdown e restrizioni varie, ma chi non muore si rivede, dico bene?  Ecco che, grazie ad un allentamento generale e la ripresa dei mercati all'aperto, qualche nuovo oggetto d'inchiesta viene fuori.
Nonostante una prima stesura andata in fumo per colpa dell'editor di testo di Blogger si torna allo scoperto, cercando di restituire a questa piccola gemma la gloria che si spetta.

Koneskin Liberty Place Cover
Trovato, come gran parte delle uscite di questa rubrica, al Mercatino di Peveragno, schiacciato in un raccoglitore tra qualche compilation di liscio e della musica classica, il suo cardboard non attirava sicuramente l'attenzione e, no non fosse stato per quella copertina, con quella maschera che ricordava Aku Aku di Crash, questo EP sarebbe rimasto lì dov'era.
"Koneskin", questo il nome dato al progetto di Sergio Ponti, Gabriele Zoccolane e Feryanto Demichelis, che sforna, a due anni dalla sua nascita, "Liberty Place". 37 minuti di musica spalmati su 2 suite piuttosto lunghe, la prima delle quali viene suddivisa in 3 movimenti, ed una canzone invece più classica.
È un particolare apparentemente insignificante, quello di dividere in tracce distinte le varie parti del primo lavoro, ma narra anch'esso la verità di un gruppo che si rivelerà estremamente onesto, tanto nelle intenzioni quanto, poi, nella scrittura dei temi. Non ci prendono in giro costruendo canzoni lunghissime che si rivelano poi dei taglia e cuci, come spesso capita di sentire in molte produzioni progressive, bensì spezza in prima istanza la narrazione in tre atti a se stanti, che condivideranno una certa linearità tematica pur distinti in maniera netta.

Ma, esattamente, cosa abbiamo tra le mani?
Beh, volessimo parlare per generi, sicuramente tireremmo in ballo l'ambient, il progressive, forse del rock influenzato da qualche intrusione drone e, perchè no, post rock.
Non è tutto chiaro fin dal primo momento, però. 
Al primo ascolto la natura quasi enciclica del lavoro potrebbe far storcere il naso all'ascoltatore medio ma è qui, passati i primi minuti che ci si rende conto di  come in realtà si sta assistendo ad una continua evoluzione della parola musicale, del discorso che si fa opera, slegandosi dalla necessità di un narratore per poter diventare natura e, come in uno splendido gioco, trascendere a prima ed unica protagonista, portando con se una dottrina da memorizzare in ogni dettaglio.
Per un'impresa tanto impossibile quanto coraggiosa come questa serve avere una base solida e sicura, tessuta con cura maniacale, ma che non si esaurisca alla prima ripetizione.
"To", la prima traccia, è ottima  per questo arnoso compito. Raccogliendo le forze da una base elettronica e minimal, lo slancio espressivo si concretizza in una chitarra elettrica estremamente saturata che, con una linea difficilmente asseribile al classico riff rock insiste nel non cercare una conclusione per la frase appena iniziata, riuscendo, grazie a un buono studio degli intervalli armonici, a scaricare il proprio bagaglio emozionale in quello che sarà poi il vero train de vie delle canzoni a venire. Il vero valore che si riscontra in tutto il lavoro è quindi presto detto: la calma, la possibilità di far si che ogni elemento riesca ad evolversi a suo modo, senza lasciare discorsi in sospeso ma anche senza  tirare per le lunghe soluzioni che potrebbero risultare stucchevoli se esasperate. Si digerisce in questo modo l'irruzione sul palco di chitarre, tastiere e voci , altalenandosi con diletto tra accenti violenti e una calma riflessiva.
In questo punto del discorso arriva la seconda parte dell'opera, "Fall". Finito il pathos del finale di "To", torniamo nuovamente ad un ambiente calmo, intimo, dove la voce, ora vera protagonista, si fa espande tra il cammino lento di una chitarra ed un piano accennando, solo nel finale, un piglio più rock seppur, anch'esso, legato a doppio filo a tonalità minori e suoni scuri, collegandosi così perfettamente alla sequenza di piano in apertura di "Apart", terzo ed ultimo componimento di questa prima metà dell'opera.
Qua le due anime decidono di fondersi, intersecandosi più volte per dar vita a un finale molto più heavy, forse più classico, ma non per questo di minor valore, perchè ancora una volta intriso di quell'emotività tanto ricercata e capace di rendere godibile ogni spaccato che si propone all'ascolto .
Il vero lato B di questo disco si propone ora con le ultime due tracce. Tornando su stilemi più legati alla normale visione della musica come canzone, con i suoi dogmi e i suoi schemi, la band regala in "Velvet Starry Eye",delle ottime impressioni per quanto riguarda la struttura, per come sintonizza sulle stesse frequenze le intenzioni di un sintetizzatore e di una chitarra nel portare a termine lo stesso risultato sebbene su diversi registri. Dove il lavoro di basso si articola grazie a lunghi fraseggi, suoni quasi ambientali e minimal, le partiture di chitarra e batteria scorrono sotto la voce del cantante che solo ora decide di farsi vero protagonista, spalleggiata da accordi dissonanti, ritmi dispari e un mood generale, creato dalla commistione di tutte le parti, spicca fuori dal mix, colpendo il bersaglio come raramente accade.
La pausa data da questo pezzo serve solo a farci recuperare un po' l'attenzione, che dopo 20 minuti di suite potrebbe vacillare, in attesa del gran finale.
"Maya, Fer Au D'Sol", 12 minuti di calma, di quiete greve e romantica, passi lievi in una poetica dal sapore di divertisment. Un finale lieto e malincomico, la naturale conclusione di tutto il lavoro, difficilmente collocabile in una concezione da album, ma anche discostato dal concept puro. Pare il tutto, col finire di questi 3 pezzi, un'entità unica, le cui parti, se separate, perderebbero di potenza..
È questo il vero punto di forza dell' EP. Tralasciando ogni discorso sulla scrittura e sulla composizione, dimenticandoci della produzione e della qualità sonora, quello che resta è il bagaglio emozionale che un simile lavoro si porta con se. Un ottimo album d'ambiente per quelle serate autunnali, dove la nebbia sostituisce l'orizzonte prima di diventar brina e la sola luce nella stanza arriva dalla legna che arde nel caminetto già dalle quattro.

Koneskin band photo

Se il materiale in questione lascia sinceramente soddisfatti e la data di pubblicazione non è poi così lontana, come fa un EP del 2014 ad essere già un reperto?
La risposta è in realtà tanto veloce quanto triste: la fine.
Gli ultimi eventi di cui troviamo traccia e a cui hanno presenziato si riferiscono al 2015, dopodichè la fine. Pochi articoli online, pochi ascolti su Spotify, giusto un paio di video su Youtube e, la cosa peggiore di tutte, nessun fan attivo.
Gli unici che sembravano davvero credere in loro erano quelli della redazione di "Prog", tant'è  che il miglior articolo che possiate trovare sul progetto "Koneskin" è proprio sul loro sito, ma non solo.
Spulciando Discogs in cerca di qualsiasi appiglio viene fuori che la loro prima comparsa al di fuori del panorama indipendente è avvenuta su "P41: The Twilight Zone", compilation allegata proprio alla rivista "Prog", in cui fa capolino, a traccia 6, "Apart", descritto come terzo movimento della composizione "To Fall Apart".
È evidente allora che un minimo di interesse nel far conoscere questi ragazzi e farli uscire da un sistema di tour stabili provinciali, ma evidentemente qualcosa andò storto.
Tolte possibili complicazioni interpersonali tra i membri della band ed escludendo la difficoltà di trovare il tempo da dedicare al progetto, dato che tutti i musicisti coinvolti sono dei professionisti, l'unico elemento che mi sento di incriminare come possibile causa della loro caduta sia forse la stessa risorsa di cui si è cibata nella sua corta vita: la nicchia.
Croce e delizia di questo trio è stato probabilmente il loro aver puntato troppo sugli appassionati. Chiunque si ritrovi a far parte di una comunity di qualsiasi tipo sa bene come sia facile incappare in comportamenti di esclusivismo, manifesto spesso nel  non voler contagiare qualsivoglia ipotetico ideale, tanto quanto nel tenersi stretto ogni elemento di valore, nel timore, forse, di un imbastardimento delle forme.
Resta sotterrata così una band geniale, sotto quelle poche citazioni degli amanti del settore, concerti quasi privati nei soliti club e le scelte forse sbagliate della rivista a cui si erano affidati, genuinamente convinta di avere un potenziale maggiore di quanto è risultato essere.
Il loro profilo twitter rivela un album in lavorazione nel 2017 ma apparentemente mai uscito. Chissà, un giorno... 


Prima di chiudere definitivamente questo articolo volevo solo scusarmi per la mancanza di aggiornamenti regolari sia sul blog che sui social, ma tutto ciò che vedete per me è poco più di un passatempo e beh, quando il tempo non c'è sicuramente non lo si può creare. Spero, prima di dicembre, di riuscire a risolvere diverse questioni che sono rimaste in sospeso così da poter tornare su queste pagine con maggiore costanza, aggiornando le foto della mia collezione e magari aggiungendo qualche testo nella sezione "Lyrics". 
Molte case editrici ed etichette più o meno indipendenti in questi mesi hanno iniziato a mandarmi materiale promozionale che mi impegnerò a portarvi in qualche modo, dilazionato a dismisura e con metodologie ancora da vedere.
Buone intenzioni come a capodanno quindi, vediamo se riesco ad essere di parola.